La biblioteca segreta di Timbuctù by Joshua Hammer

La biblioteca segreta di Timbuctù by Joshua Hammer

autore:Joshua Hammer [Hammer, Joshua]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788858688755
Google: d4Y1DgAAQBAJ
editore: Rizzoli
pubblicato: 2016-04-14T22:00:00+00:00


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La presa di Timbuctù

Abdel Kader Haidara aveva seguito l’avanzata dei ribelli tuareg e dei loro alleati jihadisti con relativa tranquillità. Era convinto che la sommossa si sarebbe concentrata nel Mali nordorientale, a diverse centinaia di chilometri da Timbuctù, come tutte le altre rivolte su vasta scala e le insurrezioni di minore entità a cui aveva assistito nei vent’anni precedenti. Non era granché preoccupato e con amici e colleghi discuteva di rado degli attacchi alle basi dell’esercito che si stavano verificando in angoli remoti del deserto; la rivolta sembrava molto lontana. Nel marzo 2012, con un piccolo gruppo di bibliotecari e restauratori, andò in una città del vicino Burkina Faso per aiutare una biblioteca governativa con un progetto di digitalizzazione dei suoi manoscritti. Durante il viaggio di ritorno vennero a sapere che i militari maliani avevano fatto un colpo di Stato e avevano chiuso i confini. Haidara e la sua équipe passarono un’altra settimana bloccati in Burkina Faso. Finalmente, l’ultima settimana di marzo, le frontiere vennero riaperte e il gruppo poté tornare a Bamako.

Arrivando nella capitale, Haidara si rese conto per la prima volta della gravità di quanto stava accadendo: il tracollo dell’esercito governativo, la rapida avanzata dei ribelli. Passò una notte in città e poi decise che doveva tornare a casa. «Abdel Kader, adesso non ci puoi andare. È pericoloso»1 lo misero in guardia amici e colleghi. Haidara ignorò gli avvertimenti. Insieme all’autista si diresse a nord e passò la notte successiva a casa di alcuni amici a Sévaré, una città sul Niger a metà strada fra Bamako e Timbuctù, sede dell’unico aeroporto della regione.

«Non andare a Timbuctù» lo implorarono gli amici.

«Devo» disse lui. «Ho delle cose da fare, e non starò bene finché non sarò tornato. Anche se c’è una guerra in corso, devo raggiungere la mia famiglia.»

Haidara partì all’alba con l’autista. Quattro ore dopo i due incrociarono un forte traffico proveniente da nord. La gente stava scappando. Una lunga carovana di furgoni, pick-up, utilitarie, quad, minibus, pullman, moto e jeep serpeggiava lungo la strada sconnessa, con tante persone a piedi, il tutto in un frastuono di clacson strombazzanti, rombo di motori e stridio di freni. Soldati, insegnanti, impiegati, bibliotecari, commercianti, casalinghe, venditrici del mercato, bambini – la maggior parte della popolazione di Timbuctù, a quanto pareva – si aggrappavano ai finestrini di macchine e pullman pieni fino all’inverosimile, stavano in equilibrio sulla parte posteriore delle motociclette, erano appollaiati sul tetto dei pullman con fagotti di indumenti, valigie rigonfie, materassi, sacche di tela, bauli, scatoloni. Era un esodo infinito di esseri umani avvolti in una nuvola di polvere, gas di scarico e disperazione, tutti ansiosi di sottrarsi ai ribelli.

Per la prima volta l’orrore di quanto stava accadendo nella sua città natale investì Haidara. Ma era arrivato fin lì ed era troppo tardi per tornare indietro. Proseguendo verso nord, il flusso di persone in preda al panico continuava. I fuggitivi sul ciglio della strada gli consigliavano di fare inversione. Presto la strada asfaltata si trasformò in una pista di terra



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